Della salita ci si innamora, parola di Alberto Sabbatini
Ho scoperto le gare in salita. Ho partecipato alla Gubbio-Madonna della Cima. Quattro chilometri appena, ma da fare in apnea totale. Un mondo completamente diverso. Niente a che vedere con la pista, le vie di fuga, le staccate ruota a ruota. È un’altra specialità. Come i 100 metri e il salto in lungo. Nella Salita corri prima di tutto corri contro te stesso, il cronometro, il tuo stesso limite. E poi contro le insidie. Curve cieche, muretti, guardrail, canaletti e dossi sulla strada.
Prima, sotto sotto un po’ la snobbavo. Ingenuamente, mi dicevo: che vuoi che siano 4 chilometri in salita? Dov’è la difficoltà? È meno di un giro di pista al Mugello. Mi sbagliavo. E tanto. Quattro chilometri sono tantissimi se conti i dossi, le curve, le pezze d’asfalto, i cambi di direzione, i punti ciechi dove non ti ricordi mai se puoi accelerare a fondo o se devi dosare con attenzione il gas. In due giorni avanti e indietro ancora oggi in ricordo bene il percorso. Com’è la curva 3 dopo la partenza? Si fa piena oppure no? Boh! Se ti manca questa capacità di memorizzare fotograficamente le curve, non riesce ad andare veramente forte in Salita.
Ci sono barriere da accarezzare, sfiorare, senza mai esagerare altrimenti picchi duro. Nella mia gara un’auto si è cappottata, un’altra s’è demolita contro il muretto di cemento, una terza ha accartocciato venti metri di guard rail. Due volte è partita l’ambilanza a recuperare il pilota, per fortuna illeso. Se in pista sbagli, ti insabbi e se va male strisci la carrozzeria. In Salita non sai mai come puoi uscirne.
E poi la velocità. D’accordo che vai in salita, ma vai comunque forte. Si usano sempre quarta e quinta marcia, spesso viaggi a 160, raramente a 60. La mia Mini Cooper da 250 cavalli già a volte era difficile da tenere. Immagino i Prototipi. Mi ha raccontato Domenico Scola, 26 anni, il vincitore della corsa e dominatore delle salite italiane, che nel tratto più veloce – un rettifilo sagomato a esse dove nella giusta traiettoria si sfiorava il guarda rail a sinistra e si “pelava” subito dopo quello di destra e guai ad alzare il piede dal gas – la sua Osella faceva i 258 km/h. Tra due lame di rail!
Impressionante!
Tanto di rispetto per i piloti delle Salite. Ultimi veri eredi di un automobilismo vero, genuino, d’altri tempi.
Ah dimenticavo: il bello è che in Salita sono tutti amici. Non è come in circuito, dove ognuno va per conto suo e si chiude nella propria hospitality. In Salita si vive in comunità. Arrivati in cima, si deve aspettare l’ultimo per scendere giù. Quindi si parla, si scherza, si beve (acqua o bibite, non alcool!) tutti insieme in attesa di tornare a valle e riprovare la seconda manche.
E poi quando è finita la discesa, a bassa velocità tutti in fila, tra il pubblico (tanto) che ti festeggia, ti invita, vuole sentire il rombo del tuo motore e ti ferma per offrirti dal finestrino un bicchiere di vino e in cambio ti chiede una sgommata a ruote fumanti!
La corsa in Salita mi ha conquistato. Come tanti tanti anni fa l’Africa alla Parigi-Dakar. Ci tornerò prima o poi.